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La resilienza


Resilienza: alzi la mano chi non ne ha mai sentito parlare.

Di resilienza indubbiamente se ne discute tanto, e forse mai abbastanza, o per lo meno, non nei termini giusti.

Nello sport c’è chi la identifica nell’ultimo chilometro della maratona di New York, chi la trova nel massimale di squat in palestra, chi nell’ultimo tiro da 3 dell’ultimo secondo dell’ultimo quarto della partita di basket della vita. E poi c’è chi addirittura sente di averla sperimentata all’università, dopo quell’esame di fondamenti dell’anatomia fisiologica che ha ridato 10 volte!

Insomma: sfaccettata, variegata, diversa, molteplice… una cosa è certa: la resilienza fa parte della nostra vita, ed è giusto (e splendido) che sia cosi.

L’etimologia della parola e il suo significato ci affascinano da sempre: ci affascina il fatto che si possa adattare a tutti i contesti più disparati, spaziando dall’ingegneria, all’informatica, alla biologia e, ça va sans dire, alla psicologia. Ci affascina il significato intrinseco di questo termine: accogliere l’evento traumatico, il cambiamento che ne consegue e crescere, fortificandosi, proprio grazie a questo. Il problema si trasforma: non è più un ostacolo, diventa un vero e proprio trampolino di lancio. Da questa prospettiva, anche la più grande difficoltà sembra un’opportunità.


Certo, direte voi, è facile parlarne dietro uno schermo, al caldo, copertina e thè alla mano.

Riparliamone quando stai facendo l’ultima frazione del triathlon e la fatica ti mozza il respiro, i polmoni bruciano e il traguardo sembra cosi lontano; riparliamone quando ti sei infortunato tirando un calcio, il calcio più importante della stagione, e in un secondo hai visto svanire la vittoria e la tua prospettiva di carriera. Riparliamone quando alle Olimpiadi vedi sfumare la medaglia d’oro per un centesimo di secondo. Lì si che fa male! E’ proprio in quel momento che la resilienza sembra vacillare; eppure, è proprio in quel momento che si manifesta. E’ in quel momento che il vero atleta cresce.

Già, perché ci vuole coraggio e tenacia per alzarsi alle 6 del mattino, allenarsi dalle 4 alle 6 ore tutti i giorni, sopportare le fatiche, le cadute, il dolore, le trasferte, le partite che vanno male e le gare che finiscono ancora peggio.

E ci vuole ancora più coraggio e più tenacia: ci vuole resilienza, per rialzarsi quando hai sbattuto la faccia a terra quella volta in più che ti ha fatto pensare che non saresti stato più in grado di risollevarti.


Vorremmo lasciarvi con una riflessione: “la resilienza è l’essenza dell’atleta, è lì che risiede la sua forza”. Quante volte avete (abbiamo) desiderato non sbagliare mai, anelato alla perfezione, condannato l’errore e detestato la sconfitta? E quante volte questa ossessione, ci ha portato a buttarci ancora più giù? Non c’è mai venuto in mente che quello potesse essere il vero successo: abbracciare il limite, accettarlo, accoglierlo e sì, un po’ rinascere proprio grazie a lui?


Quali sono le vostre esperienze di resilienza? Vi ascoltiamo.

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